Spaccapietra: alla scoperta delle proprietà e delle possibili controindicazioni della pianta medicinale

Il nome originario di questa pianta è Cedracca o Cetracca e deriva dal latino Ceterach officinarum. Nel gergo popolare è invece conosciuta più semplicemente come Erba ruggine o più sinteticamente Spaccapietra. Quest’ultima definizione le è stata data perché si trova spesso tra le pietre delle rupi che frantuma lentamente. Tipica dell’Europa centrale è una felce e appartiene alla famiglia delle Aspleniaceae.

Per quanto riguarda il suo aspetto, la pianta raggiunge un’altezza di circa 15-20 cm con foglie disposte a rosetta, dalla forma lineare e di colore verde opaco. Il taglio è simile a quello di una piuma con 9-12 tratti ad angolo ottuso. Il suo habitat naturale è caratterizzato da climi con un certo tasso di umidità, ma soleggiati. Nasce soprattutto su vecchi muri a secco e sulla superficie delle rocce. Particolarmente diffusa in zone mediterranee, fiorisce a partire dal mese di maggio fino alla piena estate, orientativamente i primi di agosto.

In passato la Spaccapietra veniva molto usata per imbottire i cuscini, perché si credeva che avesse la capacità di far passare i dolori articolari.

Quali sono le proprietà della Spaccapietra

La Spaccapietra è un’erba famosa per le sue proprietà antinfiammatorie, antidolorifiche e depuranti. Ragion per cui è considerata un ottimo rimedio anche in caso di febbre e pressione arteriosa. Oppure può essere usata per favorire il lavoro del fegato alla maniera di un lassativo e per contrastare batteri e vermi intestinali. Più di ogni cosa, però è famosa come soluzione contro i calcoli renali.

In fitoterapia si utilizza tutta la pianta per preparare una valida tisana, da consumare tre volte al giorno prima di ogni pasto. La preparazione è molto semplice, basta un bicchiere d’acqua bollente per ogni cucchiaio d’erba e una volta che il preparato sarà freddo dovrà essere filtrato e poi bevuto. Il sapore è intenso e amaro, quindi è consigliabile addolcire la bevanda con del miele. Questo è un espediente utile per chi soffre di calcolosi renale e vescicale. La cura generalmente si protrae per la durata di un mese, ma solo ogni sei giorni consecutivi. All’occorrenza è possibile continuare anche dopo l’espulsione dei calcoli. Alcuni medici consigliano questa tisana a chi soffre di cancro e fa la chemioterapia. Pare che questo infuso dia un certo sollievo dopo il trattamento.

Che cosa sono i calcoli renali

La calcolosi, conosciuta anche col nome di litiasi, è una delle patologie più comuni legate alle vie urinarie. Una malattia nota per la presenza di piccoli sassolini, calcoli appunto, lungo il corso delle vie urinarie. Questo stesso processo di natura chimica provoca la formazione di calcoli, i quali si creano perché all’interno delle urine per una sovra-saturazione. Essa provoca una cristallizzazione, la quale dà origine a quelli che sono i veri e propri calcoli, dal latino “calculus”, cioè “sassolino” che in forma di “cristallo” si localizza nel fondo dei calici renali. Mentre nei soggetti sani ciò è ostacolato attraverso la presenza di sostanze nelle urine in grado di contrastare la cristallizzazione nociva, i soggetti in cui è presente questa tendenza le urine scarseggiano di tali sostanze favorendo la cristallizzazione prima e la formazione di calcoli in un secondo momento.

  • In Italia si stimano all’incirca 100.000 nuovi casi all’anno, in età compresa dai 30 e 50 anni. Tra le cause principali vi è prima di tutto una cattiva alimentazione e una scarsa assunzione di liquidi. Inoltre non va trascurato l’aspetto ereditario. I metodi per diagnosticare la calcolosi sono:
  • l’ecografia è la prima opzione che il medico consiglia, essa da informazioni sufficienti e dettagliate ed evita di esporre il paziente alle radiazioni.
  • la TAC invece viene prescritta solo in quei cosi dubbi e dove bisogna decidere una strategia chirurgica in prospettiva di un intervento.

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